C’erano una volta il Piemonte e la Sicilia

Era una primavera di fine 1700 quando una giovanissima ragazza siciliana lasciava la piccola casetta sul mare dove viveva con i genitori diretta verso il Castello della Mandria.

Durante la bella stagione questa residenza separata dalla Reggia di Venaria da un magnifico parco si animava e veniva visitata molto spesso dalla famiglia Savoia; nessuna occasione migliore per una giovane pasticcera di cercare la sua fortuna nelle cucine reali.

Quello che ancora lei non sapeva è che avrebbe trovato, oltre alla fortuna, l’amore.

Come capita sempre,l’amore le si presentò con il volto dell’imprevisto

Quello del preciso e metodico, forse un po’ rigido, Francesco Moriondo, l’economo della Reggia.

La sua famiglia, originaria del minuscolo paese di Mombaruzzo, gli aveva insegnato a tenere minuziosamente traccia di tutto quello che entrava o usciva dalla dispensa; la durezza della vita di campagna gli aveva insegnato che non sprecare nulla poteva far la differenza tra la vita e la morte.

Gestiva le spese del Castello della Mandria con la cura che si riserva ad una cosa viva, facendo sì che ogni moneta fosse usata per il giusto scopo.

Lui le insegnava che le cose che funzionano sono quelle che si programmano in anticipo.

Lei gli insegnava che solo deviando all’ultimo minuto si scopre la bellezza della vita.

Nell’Amaretto, che inventarono dopo essersi ritirati dalla Mandria ed essere tornati a Mombaruzzo, è rinchiusa l’essenza del loro amore: la dolcezza trascinante della mandorla di Sicilia, la punta amara dell’armellina, che pungola il palato.

Un retrogusto dolceamaro che nella sua pienezza non soddisfa mai completamente e che spinge sempre a volerne ancora: come l’amore.

“oh, i son bon…i son un poc amaret”

Ecco quello che gli abitanti di Mombaruzzo dicevano di questi dolci ancora senza nome.

Battezzati come amaretti grazie a loro, divennero famosissimi, tanto da vincere le medaglie d’oro alle Esposizioni Internazionali di:

Milano 1881
Napoli 1882
Torino 1884
Roma 1887-1895

Grazie ai nipoti Virginio e Carlo, che consacrarono la loro vita ai dolci che così chiaramente recavano in sé la storia dei loro nonni.

Torniamo ai nostri giorni e alla nostra storia

Nel 2011, seguendo le orme di Paolina Berta, nonna di Gianfranco ed Enrico, che aveva l’abitudine di accompagnare i distillati con un amaretto, rileviamo il marchio Carlo Moriondo, decidendo di spostare la produzione in Distilleria e di arricchire la ricetta originaria con dei nuovi gusti; nocciola, caffè, frutti canditi, ricoperti al cioccolato e, ovviamente, grappa.

Decidiamo anche di preservare il nome Moriondo: certamente un omaggio ad una grande famiglia della nostra terra e a una grande invenzione, ma soprattutto a due ragazzi, che si innamorarono in una pasticceria e del loro amore fecero un progetto più grande.

Una curiosità

La ricetta tradizionale dell’amaretto prevede solo quattro ingredienti

mandorla
armellina
zucchero
tuorli

Noi li spruzziamo con la grappa, che aiuta a conservarli: infatti sono senza conservanti sintetici!